Il costruttore di barche di Daniel Gumbiner: un estratto

Il costruttore di barche è l'esordio letterario di Daniel Gumbiner, una storia che parla di amicizia, di resilienza, e della delicata arte di recuperare la propria anima.

Il costruttore di barche

Un giorno Garrett chiese a Berg di aiutarlo a portare la canoa del padre di Vespucci nell’officina del costruttore di barche locale. La caricarono sul tettuccio del pick-up di Garrett e si diressero a nord lungo la baia. Ormai era autunno e l’erba, rimasta verde grazie alla nebbia estiva, era diventata bruna. Tutto sembrava tinto di bruno: edifici bruni, alberi bruni, mucche brune. Mentre guidavano ascoltavano la stazione radio locale, la WMUR. Il dj annunciava gli eventi comunitari della settimana.

«Domenica serve gente per aiutare a estirpare le erbacce in una zona del parco – diceva. – Il prato è pieno di erbacce. Per favore date una mano, se potete».

Quando lasciarono la strada principale, Berg si accorse immediatamente che la casa era una di quelle in cui era entrato per rubare. Più in basso a sinistra c’era la vecchia fattoria di cui aveva forzato la finestra, e sulla destra due grandi fienili. Più lontano, oltre i fienili, Berg vide qualcosa che somigliava a un autobus scolastico azzurro. Non ricordava di averlo notato quando si era intrufolato in casa. Rimase a fissarlo sforzandosi di ricordare dove l’avesse già visto, quando si rese conto che Garrett lo stava chiamando.

«Ragazzo – disse Garrett. – Sembra ci sia qualcuno. Forza, andiamo».

«Scusami… Solo che… Avevo l’impressione di essere già stato qui».

«Conosci Alejandro?».

«Chi?».

«Alejandro Vega – disse Garrett. – Il costruttore di barche».

«Cosa? No».

«O Uffa? Non sei mai andato a uno dei suoi bus-show?».

«Bus-show?».

«Sì, fa venire dei musicisti e li fa suonare sul suo autobus. Una volta ci sono andato. Alla fine della serata ero completamente cotto. Sono arrivato a casa alle quattro del mattino barcollando».

«No, non ci sono mai stato».

«Ah, be’, non posso proprio dire di raccomandartelo. Un mucchio di gente strana».

Invece di dirigersi a piedi verso la fattoria, Garrett condusse Berg lungo una stradina che scendeva verso uno dei fienili. Sulla porta c’era un ragazzo con la coda di cavallo che fumava una canna. Indossava la giacca e i pantaloni di una tuta porpora, scarpe da basket e uno strano zainetto.

«Com’è, Uffa?» chiese Garrett.

«Com’è, Garrett?».

«Lui è Berg» disse Garrett.

«Ciao Berg».

«Scusa se c’ho messo tutto questo tempo a portarti la barca – disse Garrett. – Abbiamo avuto un sacco di casini. Non te ne parlo nemmeno. Alejandro c’è?».

«Sì c’è, ma è molto preso. JC vuole due nuove barche».

«E quante gliene avete già costruite?».

«Ho perso il conto».

«Sai, non ho mai incontrato quel tizio. Un tipo parecchio misterioso». 

«È un ottimo cliente» disse Uffa.

«Qualcuno sostiene che è fuori di testa. Voglio dire, io non l’ho mai incontrato e non lo so, ma la gente dice così».

Uffa non replicò.

«Cioè, non dicono che ha ammazzato qualcuno? – domandò Garrett. – In Messico? So che una volta ha perso le staffe con Teddy Kearns al Western».

Uffa spense la canna contro la suola della scarpa. «Bene, perché non portiamo dentro la barca?» disse.

I tre sollevarono la vecchia canoa dal pianale del pick-up e la portarono dentro il fienile. Una volta sistemata la barca su due cavalletti, Berg si guardò intorno. Era come stare in una specie di cattedrale. Soffitto e finestre altissime, e barche appese alle travi del soffitto tramite grosse funi che ondeggiavano appena nell’aria. Il tutto trafitto da fasci di fredda luce mattutina, immerso in un odore di paglia, salsedine e segatura prodotta di fresco. Al centro del laboratorio c’era un nove metri sistemato sui blocchi, e più dietro un soppalco. Lassù si vedeva un uomo più anziano inginocchiato che fissava il pavimento con una matita in bocca. Indossava jeans, sandali e una dolcevita nera cosparsa di buchi. Al loro arrivo non li degnò neppure di uno sguardo.

«Bene, cosa ne pensi?» chiese Garrett a Uffa.

«Non ci sono fissaggi che perdono» disse Uffa facendo ruotare la canoa. «E questa crepa che ti preoccupava è orizzontale, non verticale. Per cui dovremmo essere in grado di calafatare con cotonina e rimettere tutto a posto. Ricostruiremo anche questo bottazzo».

«Ottimo – disse Garrett. – Grazie, Uffa. Ehi, che ne è stato di John? Non lavora più qui con voi?».

«Si è fatto un taglio alla mano con la sega circolare».

«Oh merda. È vero, l’ultima volta che l’ho visto al Western ho notato che quel dito aveva un’aria strana, ma magari era sempre stato così».

«Sì, si è portato via un pezzo di dito» disse Uffa.

«Immaginavo potesse essere un motivo del genere, ma non si sa mai. Una volta a Willits ho incontrato una ragazza che era nata senza alluce. Una specie di deformità. Una cosa famigliare. Era successo a parecchi dei suoi parenti. Va bene, comunque…» si guardò intorno distratto, «dobbiamo tornare al lavoro. Di questi tempi Mangini ci sta col fiato sul collo».

Mentre Berg e Garrett tornavano al pick-up due cani abbaiarono contro di loro e poi scapparono verso gli alberi, distratti da uno scoiattolo. Più lontano Berg vide una bambina scalza e abbronzata che correva lungo il sentiero in discesa verso la fattoria, con una manciata di fiori azzurri tra le dita.

«Devo tornare dentro» disse Berg.

«Perché?» chiese Garrett.

«Ci metto un secondo».

«D’accordo» disse Garrett estraendo il telefono e mettendosi a scorrere immagini di donne su un sito di appuntamenti. «Sbrigati».

Rientrato nell’officina, Berg trovò Uffa chino sulla canoa, intento a sfilare un pezzo di materiale fibroso dalla poppa.

«Oh, ciao» disse Uffa.

«Ciao. Mi chiedevo se per caso vi serve qualcuno, visto che Tom si è fatto male alla mano e tutto il resto».

«John?».

«Sì, John, e pensavo che forse… cioè, in realtà non so fare nulla, ma magari…».

«Per questo devi parlare con Alejandro» disse Uffa.

Accompagnò Berg attraverso l’officina e salì con lui le scale fino al soppalco.

«Ale – disse. – Questo è Berg. Dice che gli interessa diventare apprendista».

Ora che Berg si trovava sul soppalco riuscì a vedere il lavoro in cui era impegnato Alejandro. Era un grande disegno di una barca, preciso ed elegante. Lo schizzo era tracciato su diversi pezzi di compensato dipinti di bianco e correva per l’intera lunghezza dell’edificio. L’uomo anziano alzò lo sguardo dal disegno e si tolse gli occhiali. Aveva gli occhi di un azzurro torbido, del colore dell’acqua di uno stagno.

«Ti piacerebbe diventare apprendista?» chiese.

«Sì – rispose Berg. – Cioè, immagino di sì. In realtà non so veramente che cosa significa».

«Significa che per tutto il prossimo mese lavorerai gratis quattro giorni alla settimana e poi, se il lavoro ti piace e noi andiamo d’accordo, comincerò a pagarti uno stipendio per i prossimi due anni. E che se ti va puoi vivere in quello stanzino laggiù».

Berg si voltò e vide una porta triangolare sul fondo del soppalco.

«Sarebbe ottimo» disse.

«Magnifico» ribatté Alejandro. Si alzò in piedi, si avvicinò zoppicando a Berg e gli strinse la mano. Profumava di caffè e tabacco dolce. «Spero che il lavoro ti piaccia – disse. – Non è un lavoro per tutti, ed è normale che sia così. Se non ti piace, non ti piace. Non è un problema».

«Okay» disse Berg augurandosi disperatamente che gli piacesse.

«Cominci la prossima settimana».

Berg uscì dal laboratorio e salì sul pick-up di Garrett. Mentre tornavano a Fernwood osservò dal finestrino la baia alla sua destra. Piccole insenature e spiagge orlate di canne, con una leggera nebbia grigia in avvicinamento. Fece un rapido calcolo per capire se era in grado di sostenere economicamente l’apprendistato. Se continuava a lavorare a Fernwood per qualche giorno alla settimana probabilmente ce l’avrebbe fatta. Poi ripensò a quando diversi mesi prima era entrato di nascosto in quella che ora immaginava fosse la casa di Alejandro. Pensò a tutte le foto di barche e alla cartina nautica su tela. Pensò ai Lortab e all’amuleto, e a quando aveva cagato nel suo bagno. Ma erano ricordi troppo ignobili e deprimenti. Li scacciò dalla mente, lontanissimo da sé, tanto che poche settimane dopo non sembravano nemmeno più veri.

 

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Il costruttore di barche

di Daniel Gumbiner

Traduzione di Vincenzo Perna